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Il Palazzo Pretorio di Capodistria.

Ubicazione.
Capodistria (odierna Koper) è stata per secoli il maggior centro culturale istriano, ed è per questo chiamata l’Atene dell’Istria. Secondo la leggenda sorge sull’isola creata dallo scudo di Pallade Minerva, caduto mentre lotta contro Nettuno. La Testa di Medusa raffigurata sullo scudo (e sulle banconote da 1.000 lire italiane) è uno dei due simboli cittadini, con il Sole che Ride; il primo è ufficiale durante il dominio austriaco (1830-1918) e per la diocesi, il secondo durante l’occupazione napoleonica.
Nel punto più alto della città si trova la piazza centrale, Piazza Tito, chiamata anche Piazza della Poesia, il cui lato meridionale è occupato dal Palazzo Pretorio. Altri edifici che si affacciano sulla piazza sono la Cattedrale, la Loggia, la Foresteria e l’Armeria.



Evoluzione Architettonica.
Una pergamena medioevale attesta la presenza di un edificio comunale nella piazza centrale (30 VIII 1254). Una lapide (1269) ricorda alcuni lavori di ristrutturazione ed attesta la presenza di un altro edificio pubblico, probabilmente sede del rappresentante del Patriarca d’Aquileia, a fianco del palazzo (sede del capitano Morosini), non allineato e collegato ad esso tramite una loggia, una delle più antiche logge “italiane”.
Il palazzo è danneggiato ed incendiato durante una rivolta anti-veneziana domata a forza (1348), ed è quindi riparato per ordine del Senato Veneto (1353). È ancora incompleto quando i genovesi occupano la città (1380), durante la Guerra di Chioggia, lo saccheggiano e lo incendiano. È celebre la risposta data dal Patriarca d’Aquileia, al quale Capodistria ha offerto il dominio purché la difenda dai veneziani: “Nolumus frixorium sine manubrio” (Non vogliamo la padella senza il manico). I veneziani vincono la guerra, rioccupano la città ed unificano le cariche di podestà e capitano (1385). L’anno successivo sono iniziati i lavori di ristrutturazione del palazzo (ultimata nel 1390), che comprendono il riutilizzo di una quadrifora più antica: i due edifici sono allineati ed uniti da un archivolto.
I successivi podestà e capitani eseguono completamenti e ristrutturazioni (già nel 1413): è realizzata la loggia ad arcate ogivali (1463), in gotico veneziano, la parte destra è ristrutturata (1481) con l’eliminazione di alcune porte e finestre gotiche e la realizzazione di tre poggioli a pilastrini, con due bifore ed una trifora a tutto tondo; è realizzata una scalinata esterna dell’archivolto (1500), munita di balaustra (1515), simbolo dell’autorità veneziana (il popolo vede i rappresentanti del potere scendere dall’alto); la sala del Maggior Consiglio è risistemata con una pittura del maestro Clerigino. Infine tutta la facciata è rimaneggiata e intonacata (1664), anno in cui è aggiunta la merlatura ghibellina. In questa occasione è cambiata la disposizione delle decorazioni araldiche e delle lapidi sulla facciata, violando apertamente le norme del Senato Veneto, che vietano l’apposizione di statue e iscrizioni sui palazzi, sia per motivi economici che politici, in quanto ritenute esibizioni e personalismi dei pubblici rappresentanti. Gli ultimi rimaneggiamenti coinvolgono la scalinata esterna e l’archivolto (1727).
Il palazzo è sede del governo civile cittadino fino alla caduta della Repubblica di Venezia (l’ultima seduta è del 23 IV 1797). Ospita ai piani superiori le cancellerie dei tribunali civile e penale, al pianterreno il corpo delle Guardie Civiche (a destra) ed un magazzino di un esercizio comunale. Durante l’occupazione napoleonica ospita la prefettura. Quattro stemmi pericolanti sono asportati (1812). Dopo l’occupazione Yugoslava (1945) l’edificio è lasciato in grave stato di abbandono fino al recente restauro (1973-2001), con il ritorno della sede comunale.


Palazzo Pretorio - La Scalinata.

Aspetto Attuale.
Il Palazzo Pretorio è il monumento principale di Capodistria, il più sontuoso edificio profano della città ed più fotografato, ed uno dei più belli della Slovenia. È il risultato del susseguirsi di ampliamenti e ristrutturazioni successive nei diversi stili, ed è quindi definito una specie di storia di Capodistria scolpita in pietra.
L’edificio è merlato, ha due piani, sette arcate, con la scala esterna e due ali, una ad est e l’altra ad ovest, a forma di torre. Due pilastri e un arco sorreggono un balcone decorato, da dove erano urlati i numeri estratti della tombola pubblica, giocata in piazza e descritta dal poeta dialettale Nicolò Depangher.
La facciata è in stile tardo gotico-rinascimentale. Le decorazioni comprendono la Giustizia di pietra (il corpo risale all’epoca romana, la testa al medioevo) armata di spada e con ai piedi la cesta con i papiri arrotolati (tra i parapetti), il Leone di San Marco con la scritta “PAX IN HAC CIVITATE ET IN OMNIBUS ABITANTIBUS IN EA” (Pace a questa città e a tutti i suoi abitanti), 4 busti in pietra di rettori veneti (Pietro Loredan, Lorenzo Donato, Angelo Morosini ed Arsenio Priuli), un busto in bronzo (Nicolò Donato, poi Doge di Venezia), 42 stemmi: 11 in rilievo, 6 con il Leone di San Marco, uno con il Sole simbolo cittadino (Marino Bonzio, 1485), 4 stemmi di podestà veneti, altri con statue “tenenti” (San Nazario, draghi, putti); 39 iscrizioni dedicate ai capitani e podestà, una statua romana della dea creatrice Cibele, Magna Mater e madre di tutti gli dei, una Madonna con Bambino in cotto, opera votiva per la peste del 1554-55 (posta ad uno degli angoli).
All’angolo della facciata laterale, nella Callegaria (più probabilmente via dei mercanti che dei calzolai), si trova scolpita la buca per le denunce anonime nei confronti di cittadini o delle autorità pubbliche, tipicamente veneziana, chiamata “Bocca del Leone”.
All’interno del palazzo vi sono la loggia (pianterreno), la sala del Gran Consiglio e la sala del Consiglio (al primo piano), varie sale, stanzoni e antiche abitazioni.


Palazzo Pretorio - La Bocca del Leone

In epoca recente il palazzo ha ispirato un centinaio tra realizzazioni pittoriche, grafiche, di bassorilievi, medaglie e intarsi lignei, di artisti locali, giuliani, austriaci ed un olandese. Nell’archivio Alinari di Firenze è presente un grande lastra fotografica che riproduce questo soggetto. A Vienna, in occasione dell’esposizione celebrativa del centenario dell’annessione all’Austria del Litorale Adriatico, Istria e Dalmazia (1913), è esposta una riproduzione del palazzo in grandezza naturale, in legname, tela e stucco, presentata come esempio di architettura “imperiale” e commentata con ironia nella poesia “Sfogo” del poeta Tino Gavardo (1891-1914, dalla raccolta “Fora del Semenà”): è un dialogo dialettale tra la campana del palazzo ed una delle statue, nel quale interviene anche il vecio leon che inveisce “al Pater va in terra le quinte e el tendon”.


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